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04 dicembre 2006

Voi siete ricchi! Efesini 1 | 4 Dicembre 2006 |

Efesini 1: Voi siete ricchi!!!

Prima di cominciare con il messaggio, vorrei raccontarvi la storia la storia di Fosco.
Fosco era un agricoltore, aveva una grandissima azienda composta da centinaia e centinaia di ettari coltivati. Le cose non è che andassero male, anzi; ma Fosco era stanco di vivere lì; era nato su quell’azienda, era cresciuto e stava invecchiando sempre lì; e poi la terra non rendeva più come una volta, e poi c’erano tutte quelle spese per le macchine agricole e per i dipendenti…. E il mantenimento dei casali era diventato troppo oneroso. Era ora di cambiare con qualcosa di diverso, qualcosa di migliore.
Così, Fosco decise di rivolgersi ad una agenzia immobiliare per vendere la sua proprietà e comperarne una differente, più adeguata alle sue esigenze.
L’addetto immobiliare giunse ben presto, fiutando l’affare; fece un elenco dettagliato di tutta l’azienda, e se ne andò, dicendo a Fosco di andarlo a trovare di lì a un paio di giorni per fissare la cifra e firmare alcune carte.
Così, dopo un paio di giorni, Fosco si recò in città ed andò dall’agenzia immobiliare; l’agente era impegnato al telefono e, per ingannare il tempo, si mise a leggere la bacheca con le offerte per vedere se ci fosse stato qualcosa di interessante.
Dopo un paio di offerte non adatte, i suoi occhi furono attirati da un’azienda che avrebbe fatto proprio al caso suo.
Era un’azienda di circa 1000 ettari, con un gran numero di trattori e di macchinari all’avanguardia; all’interno dell’ azienda c’erano due boschi, e un piccolo fiume che era alimentato da una sorgente che creava anche un lago dove c’erano le trote. C’erano anche molti casali sparsi qua e là, e la casa principale era descritta come una sorta di piccolo castello.
Fosco corse dentro l’ufficio dell’agente immobiliare, che nel frattempo aveva finito di telefonare: “Senta –disse- quanto costa quell’ azienda là?” “Quale – domandò l’agente - quella là in fondo a sinistra in bacheca?”.
“Si, proprio quella – fece Fosco. “Beh, quella là non glie la posso mica vendere!” “Guardi - riprese Fosco nervosamente - < se è per una questione di soldi, non si deve preoccupare; ne ho un sacco in banca e altrettanti entreranno dopo la vendita della mia azienda…” “Ma… vede..- replicò imbarazzato l’agente – non è una questione di soldi; è che…”. Fosco non lo fece neppure finire: “No, no, no, non voglio sentire scuse; se lei l’ha già data in parola a qualcun altro sono disposto a pagare io la penale, ma io VOGLIO quell’azienda!” L’agente, sempre più a disagio, sedette prendendo un lungo respiro. “Signor Fosco, mi creda, non è che non voglio vendergliela, è che non POSSO!” “ Ma mi spiega il perché, allora!” urlò innervosito Fosco. “Perché, vede, quella che ha letto nella bacheca è la descrizione della SUA azienda!”
Talvolta, noi credenti, ci comportiamo un po’ come Fosco; invece di guardare alle benedizioni che smisurate abbiamo in virtù dell’essere stati predestinati (v. 1:5) secondo un piano prestabilito (v.1:9) siamo piuttosto propensi a credere che ciò che possediamo per certo è poca cosa. E come a Fosco, qualche volta abbiamo bisogno anche noi di un agente immobiliare che faccia l’inventario dei nostri averi per rammentarci di quanto ricchi e benedetti siamo!
E’ quello che fa anche Paolo nei confronti degli Efesini e di quant’altri erano destinatari della sua lettera nell’intero capitolo 1.
L’altra volta abbiamo accennato che mai come in questa lettera Paolo usa termini legati al gergo militare, e che proiettano per certi versi la nostra vita di credenti in una differente dimensione, lontana da quella che ci farebbe piacere di immaginare; vorremmo fosse come una corsa su di un prato a raccogliere margherite, senza ostacoli o preoccupazioni, e invece spesso si tramuta in una scalata a piedi nudi su rocce affilate.
Ma Paolo afferma: “C’e’ una battaglia in corso: state saldi, mettetevi un armatura.”
Io non sono un amante delle strategie militari, ma una cosa ho comunque imparato da tutti i film di guerra (che per altro odio); prima di una battaglia, la prima cosa che deve fare un buon generale è quella di mandare tutti i suoi luogotenenti a innalzare lo spirito dell’esercito, a renderli convinti che LORO sono forti e che il nemico è in pratica GIA’ SCONFITTO!
Paolo sta facendo proprio questo con gli Efesini (e con noi); da bravo luogotenente incaricato dal generale di innalzare il morale della truppa, ci mette tutti in riga, e ci elenca (dal v. 1 al v. 14) tutte le nostre attuali proprietà IN CRISTO:
* Siamo stati benedetti
* Siamo stati eletti
* Siamo stati adottati
* Abbiamo ricevuto la grazia
* Abbiamo la redenzione
* Abbiamo il perdono dei peccati
* Abbiamo ogni sorta di sapienza
* Abbiamo conosciuto la volontà di Dio
* Siamo divenuti eredi di Dio
* Abbiamo ricevuto lo Spirito Santo
Tuttavia, c’è forse qualcuno in Efeso… e dintorni (indica con una mano la stanza) che sta sottostimando le sue proprietà IN CRISTO, così come aveva fatto Fosco con la sua azienda, ovvero che non crede che tutte quelle proprietà possano essere di alcun aiuto per la battaglia che è in corso.
Questo Paolo forse lo sa, o forse lo percepisce; ed è per questo che si affretta a riaffermare che tutte le benedizioni elencate, che tutte le nostre proprietà sono VERE e possono essere VISTE e TOCCATE, ma soprattutto che, anche se c’è la battaglia, essa è stata GIA’ VINTA.
Leggeremo dal versetto 15 fino alla fine del capitolo; ora, dovendo fare una scelta tra le due maggiori versioni a nostra disposizione, io ho scelto la Nuova Riveduta, non perché sia migliore, anzi, ma per il semplice fatto che almeno hanno provato ad aggiustare quello che in origine era un unico maxi-periodo senza virgole e senza punti… anche se poi hanno fatto altri tipi di disastri linguistici.
15 ¶ Perciò anch'io, avendo udito parlare della vostra fede nel Signore Gesù e del vostro amore per tutti i santi,
Riveduta
15 Perciò anch’io, avendo udito della vostra fede nel Signore Gesù e del vostro amore verso tutti i santi,
Diodati
La chiesa di Efeso non era dunque una chiesa qualsiasi; a Paolo, incatenato ad un soldato romano in una prigione di Roma, era giunta la fama di quella chiesa dove il credere in Gesù aveva prodotto un effetto nella vita di ciascun membro; la parola che usa Paolo per amore è “agape”, ed è una parola greca usata solo nel Nuovo Testamento. Agape è l’amore che abbraccia, è l’amore che dona, è l’amore che si mette a disposizione, qualsiasi cosa costi, è l’amore che si tuffa nel fuoco senza pensarci due vote. E’ l’amore che Gesù chiedeva a Pietro in Giovanni 21:15: “Pietro, mi ami tu più di questi altri?” E Pietro risponde; “Lo sai che ti amo”, ma il verbo che usa non è agapao, ma fileo:
Fileo, è amore, ma è un amore che tiene a distanza, è quello che non ti abbraccia, che ti fa del bene compatibilmente con le esigenze personali, è l’amore che chiama i pompieri per salvarti dal rogo.
L’amore di Gesù è AGAPE, non FILEO!
Possiamo trarre un primo insegnamento da questo versetto; se vogliamo che la nostra chiesa abbia un impatto sulla gente che abbiamo intorno, se vogliamo che la nostra fede faccia rumore tanto da viaggiare per 1700 km da Efeso a Roma, da Tuscanica a Manchester, da Montefiascone a Kief, da Blera a Lisbona, dobbiamo dimostrare AGAPE, l’amore che si getta nel fuoco per tutti coloro che hanno conosciuto Gesù… ma anche per tutti coloro che hanno un bisogno disperato di Gesù nelle proprie vite!
Leggiamo i v. 16 e 17
16 non smetto mai di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere,17 affinché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione perché possiate conoscerlo pienamente;
Riveduta
16 non cesso mai di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, 17 affinché il Dio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia lo Spirito di sapienza e di rivelazione, nella conoscenza di lui,
Diodati
Quello per cui prega qui, non è lo Spirito Santo, che Paolo afferma essere già proprietà degli Efesini (v.14), ma uno spirito di sapienza -in greco “sophia”- (ovvero ragionamento) e di rivelazione – in greco “apocalupsis” – (ovvero togliere il velo per far vedere qualcosa), tramite il quale essi possano capire ancora di più Dio.
Leggiamo il versetto 18
18 egli illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi,
Riveduta
18 e illumini gli occhi della vostra mente, affinché sappiate qual è la speranza della sua vocazione e quali sono le ricchezze della gloria della sua eredità tra i santi,
Diodati
E qui, cominciano i primi VERI problemi della Riveduta.
(Accenna al problema di traduzione:
* Per i greci il cuore è la sede del ragionamento, per noi delle emozioni
* Per i greci la sede delle emozioni è l’intestino à esclamazioni: ti ho nella pancia – questa cosa mi sta in pancia – mia moglie mi ha rubato la pancia – mi si è spezzata la pancia vedendo quella cosa– alla pancia non si comanda
* Luzzi (studioso di lingue) tradusse così pensando alla mentalità greca. – la NR, anche se dicono di no, ha copiato.
La parola che usa Paolo invece è Diànoia che significa mente/intelletto;
Paolo non sta chiedendoci di fare un salto nel buio, di CREDERE e basta, di SENTIRE Dio piuttosto che CAPIRE Dio con la nostra intelligenza; lo dimostra anche il verbo che qui viene tradotto (MALE!) con “sappiate”.
Il Verbo è eido, che significa “percepire con uno o più sensi”, e che normalmente in greco veniva usato quasi esclusivamente per il senso della vista.
Per molti, una delle barriere più grandi sulla strada di Cristo è il falso mito che i credenti abbiano fatto un “salto nel buio” uccidendo la propria intelligenza; qui Paolo sta dicendo l’esatto contrario.
Paolo dice agli Efesini, la cui cultura era di livello medi/alto “guardatevi intorno, usate la vostra intelligenza per conoscere Dio… non vi affidate soltanto alle sensazioni!”
Lo stesso ammonimento Paolo lo fa oggi anche a noi; adorare Dio non significa solo SENTIRE la sua presenza, ma usare la nostra intelligenza (che, guarda caso, è un suo dono) per vedere la sua presenza nella nostra vita e nelle vite dei nostri fratelli e sorelle, per conoscere meglio chi è lui.
Due altre notazioni sul v. 18: la parola che qui è tradotta con “speranza” in realtà significa “aspettare qualcosa in maniera piacevole”; non abbiamo una “vaga speranza” che saremo salvati. Stiamo, come credenti, attendendo con piacere (e quindi con certezza) che Gesù ritorni?
Paolo ci dice: usate i vostri cervelli, e ricordatevi che siete stati “chiamati uno per uno” (il senso del verbo è questo) per ottenere un’eredità che vi porti ricchezza e gloria.: siate sereni e non impazienti, e la vostra gioia sarà piena quando riceverete l’eredità promessa.
(parla dell’eredità di mamma:
* serenità nell’attesa x lei -à gioia nel ricevere
* impazienza x gli altri à scontentezza x aver ricevuto poco
Usate i vostri cervelli: non dovete “sentire” che sarete eredi, ma dovete “GUARDARE” quello che Dio ha già fatto per SAPERE che sarete eredi.
Leggiamo i versetti 19 e 20:
19 e qual è verso di noi, che crediamo, l'immensità della sua potenza. 20 Questa potente efficacia della sua forza egli l'ha mostrata in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla propria destra nel cielo,
Riveduta
19 e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo secondo l’efficacia della forza della sua potenza 20 che egli ha messo in atto in Cristo risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei luoghi celesti
Diodati
Sapete quale parola è tradotta con “potenza”? DUNAMIS! Da cui deriva Dinamite; è una potenza esplosiva quella del nostro Signore!
E “immensità” (o straordinaria grandezza)? Viene dal gergo dello sport e significa “lanciare un attrezzo enormemente al di là di dove è arrivato il miglior lancio. Dio è così; è enormemente al di là di qualsiasi record l’uomo possa stabilire.
Ma l’importante è che Paolo ci dice :”guardate quello che Dio ha fatto! Ha risuscitato un uomo dalla morte…non solo lo ha posto alla sua destra nel cielo. E se è stato capace di fare tutto questo, allora farà anche tutto il resto che ha promesso!
Ma non solo! Non solo lo ha risuscitato e lo ha fatto sedere alla sua destra
Leggiamo gli ultimi quattro versetti (ricominciando dal 19 quando):
quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla propria destra nel cielo, 21 al di sopra di ogni principato, autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello futuro.
22 Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa,23 che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti.
Riveduta
facendolo sedere alla sua destra nei luoghi celesti 21 al di sopra di ogni principato, potestà, potenza, signoria e di ogni nome che si nomina non solo in questa età, ma anche in quella futura, 22 ponendo ogni cosa sotto i suoi piedi, e lo ha dato per capo sopra ogni cosa alla chiesa, 23 che è il suo corpo, il compimento di colui che compie ogni cosa in tutti.”
Diodati
Non solo lo ha risuscitato, non solo lo ha fatto sedere alla Sua destra, ma ha posto sotto i suoi piedi OGNI COSA sotto i suoi piedi, facendolo divenire il Capo di un corpo.
Non più di un corpo umano, ma di un corpo sovrumano, la CHIESA, NOI!!!!!
NOI siamo quello che qui è tradotto “compimento” e che in greco significa “pienezza, una misura completamente piena”.
Sin da quando il mondo non era ancora, il piano di Dio era già scritto, e doveva condurre alla creazione di QUESTO corpo che rappresenta la pienezza della creazione; ogni cosa è stata creata per mezzo e in previsione di esso; ma questo corpo, NOI, non potremmo vivere, non saremmo neppure un corpo SE non ci fosse Gesù; suoi sono i piedi che sorreggono il corpo, suo è il capo che lo comanda!
Due ultime, brevissime notazioni.
* SE facciamo parte del corpo di Cristo, noi abbiamo già vinto; ogni cosa è già stata posta sotto i suoi piedi, e noi facciamo parte di quel corpo; IN GESU’ abbiamo già vinto;
* SE non facciamo parte del corpo di Cristo, che è il compimento della creazione, siamo incompleti. Dio ci vuole completi! E solo attraverso Gesù, potremo esserlo.
L’inventario di Paolo circa le benedizioni del credente proseguirà per tutta la lettera. Ci siamo accorti, ora come Fosco, dell’immenso valore della nostra vita IN CRISTO?
“Voi siete ricchi!”, ci sta dicendo Paolo; se dunque siamo eredi di una così smisurata ricchezza, allora obbediamo al nostro capo
* Con una fede in Gesù che si tramuti nell’amore che si getta nel fuoco per l’altro
* Con una fede che “faccia rumore” anche a 1700 km. di distanza
* Usando la nostra intelligenza per guardarci intorno e SAPERE, piuttosto che sentire che siamo gli eredi di Dio
* Usando la nostra intelligenza per guardarci intorno e SAPERE che la battaglia già vinta… grazie al nostro capo, a Gesù.
Se sei IN CRISTO, sei completo, e tutto ciò ti appartiene, come suo erede.
Se non sei IN CRISTO, sei incompleto. GUARDA e CAPISCI che Gesù è venuto, è morto ed è risuscitato per renderti tale.
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18 novembre 2006

Metti Cristo per primo | 18 Novembre 2006 |

Metti Cristo per primo


  • Metti nel vaso un sasso grande – chiedi se è pieno
  • Metti i sassolini più piccoli fino a colmare il vaso – chiedi se è pieno
  • Metti i legnetti – chiedi e è pieno
  • Metti la sabbia – chiedi se è pieno
  • Metti l’acqua chiedi se è pieno
  • Fai qualche domanda per vedere cosa hanno capito dell’illustrazione

Non so voi, ma alla mia giornata bisognerebbe aggiungere sempre un tre o quattro ore per potermi non dico mettere a pari con le cose da fare, ma essere almeno in arretrato di un paio di giorni in confronto con le due settimane a cui ormai sono abituato.
Corro, mi affanno, sono nervoso e stressato … e non arrivo mai a sentirmi e ad essere veramente in pari.

Sono nato per la gioia, il Signore mi ha creato per godere questa vita… e invece troppo spesso è come una prigione fatta di scadenze di lavoro, appuntamenti dal medico, stufe e camini da pulire durante l’intervallo pranzo, cose da riparare in casa, compiti da fare assieme ai figli, riunioni di scuola, liste della spesa…

Non so quanto dovremmo andare in dietro nel tempo per trovare un’epoca nella quale c’era ancora tempo per ogni cosa…forse all’epoca di mia nonna (che era del 1888) la vita era meno caotica, gli impegni meno pressanti…forse.

Sta di fatto che, al giorno d’oggi, per non essere costantemente stressato io dovrei riorganizzare la mia vita secondo delle priorità; se non posso arrivare a far tutto, debbo almeno fare le cose più importanti per prime.
Forse qualcuno di voi sta pensando che questo sfogo personale lo potrei riservare ad altri che non a voi, che in fondo non c’entra poco nulla o nulla con quello che un messaggio domenicale dovrebbe essere.

In parole povere “cosa c’azzecca la fede col caos della tua vita? Cosa c’azzeccano tutti questi sassi dentro un vaso con la mia vita di credente?”

Lasciate che vi spieghi:

  • (Spiega l’esempio:
  • prima ho messo sassi grossi, poi i legnetti, poi la sabbia, poi l’acqua.
  • se avessi messo per primo la sabbia o l’acqua non sarei stato capace di mettere nient’altro)

Pensate che questo vaso rappresenti la vostra vita. I sassi grossi sono le cose più importanti, come la vostra famiglia o la salute dei vostri cari. I legnetti sono le altre cose per voi meno importanti ma ancora piacevoli come le amicizie o il vostro lavoro, la vostra casa, la vostra auto. La sabbia è tutto il resto......le piccole cose.

Se mettete dentro il vasetto per prima la sabbia, non ci sarebbe spazio per i sassi e per i legnetti. Lo stesso vale per la vostra vita: se dedicate tutto il vostro tempo e le vostre energie alle piccole cose, non avrete spazio per le cose che per voi sono importanti.

La mia vita, come vi ho detto, è un disastro; non riesco a concentrarmi sulle priorità e a decidere quale sasso mettere prima degli altri…prima che la sabbia e l’acqua ricoprano tutto e non ci sia più spazio per alcuna altra cosa.

C’ è dunque qualcosa o qualcuno che possa aiutarmi a sapere QUALE sasso debbo mettere per primo nel mio vaso? Quale è la MIA priorità come credente?

Leggiamo assieme Luca 9:57-62 (p.1027)

Mentre camminavano per la via, qualcuno gli disse: "Io ti seguirò dovunque andrai". E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". A un altro disse: "Seguimi". Ed egli rispose: "Permettimi di andare prima a seppellire mio padre". Ma Gesù gli disse: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu va' ad annunziare il regno di Dio". Un altro ancora gli disse: "Ti seguirò, Signore, ma lasciami prima salutare quelli di casa mia". Ma Gesù gli disse: "Nessuno che abbia messo la mano all'aratro e poi volga lo sguardo indietro, è adatto per il regno di Dio".



In questo brano incontriamo tre persone con le quali non posso che fraternizzare, non avendo io ancora capito quale sasso mettere per primo nel mio vaso.

Tutti e tre hanno un sano desiderio di seguire Gesù, ma ognuno di loro cerca di mettere per primo il sasso sbagliato all’interno del suo vaso.

  1. IO TI SEGUIRO’ PER SEMPRE NEL MIO FUTURO (V.57)

E’ molto facile pronunciare con la bocca parole come “per sempre”, “ovunque”, “in ogni situazione”. Ma credere in Gesù non è una linea ADSL FLAT con un router, “sempre connesso”, ogni giorno, senza costi aggiunti oltre il fisso mensile, dove non devi fare nient’altro che sedere davanti al tuo computer che è sempre connesso. Credere in Gesù è piuttosto una vecchia linea analogica, di quelle con il modem che prima di collegarsi fischiava, raschiava e ragliava come un mulo, dove ogni minuto di connessione costava, dove eri costretto a collegarti ogni giorno per non perdere la priorità del collegamento rischiando di essere tagliato fuori.

Gesù non vuole promesse, ma impegno; sta dicendo all’uomo: “Guagliò, ma ossai che vai dicenn?” Io non voglio un assegno in bianco…anche perché so che non potresti onorarlo di qui a due mesi, senza impegnarti giorno per giorno. Mettimi per primo all’interno del tuo vaso…ma fallo ogni giorno…fino alla fine dei giorni.”

  1. IO TI SEGUIRO’, MA PRIMA FAMMI SEPPELLIRE IL MIO PASSATO (V.59)

Quante volte, anche dopo anni dalla nostra conversione, stentiamo a servire Gesù, perché abbiamo ancora qualche “cadavere” della nostra vita passata che non abbiamo ancora seppellito?

In questo modo possiamo attendere mesi, anni, non sentendoci mai degni di essere collaboratori per il Regno di Dio, rendendo inefficaci i doni che Dio ci ha affidato per il bene della sua chiesa.

Gesù non vuole promesse, ma azione; sta dicendo all’uomo: “Figlio mio, il passato è passato! Tu sei una nuova creatura. Sei appena uscito dal cimitero e ancora stai a parlare di cadaveri! Mettimi per primo all’interno del tuo vaso, qualsiasi sia stata la tua vita prima di me!”

  1. IO TI SEGUIRO’, MA PRIMA FAMMI RIPOSARE DAGLI IMPEGNI DEL MIO PRESENTE (V.61)

Se qualche volta è solo il ricordo del cadavere, altre volte è proprio il cadavere che ci teniamo ancora attaccati sulle spalle e da cui non vogliamo realmente staccarci a impedire la nostra vita di credenti.

Per quanto potesse essere buono e lodevole l’intento dell’uomo di salutare la propria famiglia, Gesù non vuole distrazioni ma concentrazione sul lavoro; sta dicendo: “Giovane, qui c’è da lavorare! Non si lascia l’aratro piantato in mezzo al campo se non hai finito di arare! Mettimi per primo all’interno del tuo vaso, ed io ti aiuterò lavoro quotidiano.”

E per noi? Cosa significa per noi mettere per primo Gesù all’interno del nostro vaso?

Una decisione del genere va molto al di la della semplice ridistribuzione dei minuti o delle ore dedicate a ciascuno degli impegni delle nostre vite, o dello spostamento dei nostri eventi sociali o di famiglia. Essa inizia con un riassestamento di come determiniamo i nostri valori spirituali rispetto alla vita di tutti i giorni.

Mi spiego: il mio impegno quotidiano… più volte al giorno …sempre deve essere quello di chiedermi:”Sto davvero mettendo per primo Gesù nella mia vita? IL mio primo atto della giornata è una preghiera al mio Signore? Sto leggendo copiosamente la Sua Parola più di quanto legga i giornali o veda a TV? La prima domanda che mi faccio di fronte a un problema è -Cosa farebbe Gesù-?’

E ancora: “Quale testimonianza sto dando al mondo attorno a me della mia fede? Riescono gli altri a vedere in me la gloria del mio Signore?

Mettere Gesù per primo nel mio matrimonio e nella mia famiglia non significa esclusivamente crescere i miei figli nel timore e nell’amore di Dio, ma dimostrare col mio comportamento e con le mie parole che in ogni cosa, in ogni decisione, in ogni problema io metto Gesù per primo all’interno del mio vaso.

Ma mettere Gesù per primo significa anche saper dire dei NO quando mi accorgo che quella determinata attività, anche se buona in se, mi porta a dover prendere troppo posto dentro il mio vaso, togliendolo alle cose importanti dinanzi al mio Signore.

Se questo vaso rappresenta la mia vita, i sassi sono le cose importanti - Dio, la mia famiglia nella carne e quella della chiesa, la mia salute spirituale- le cose per le quali se tutto il resto fosse perso, la mia vita sarebbe ancora piena.

Se, per qualche evento, il vaso della mia vita dovesse frantumarsi, quali sarebbero le cose che rimarrebbero in piedi, senza disperdersi, dandomi ancora la capacità di continuare?

La sabbia forse?. I legnetti? No, tutto verrebbe trascinato via dall’acqua, ma rimarrebbero i sassi più piccoli, quei valori importanti, tutti intorno alla pietra più grande, che ho messo per prima, perché prendesse tutto lo spazio possibile.

Cosa metti per primo nel vaso della tua vita? Sappi che se lo riempi di legnetti o di sabbia per primo, non avrai più spazio per mettere LA cosa importante della tua vita.
Ogni giorno,
con mano tremante o ferma,
colmo il vaso della mia vita
Coi sassi che sono l’oggi e
Saranno il domani.

Mi raccontarono, quando ero bambino,
che un uomo buono
era risorto da morte,
frantumando il sepolcro,
in un'aurora di gloria.

Aveva lavorato con le sue mani,
giocato con bimbi,
sorriso a donne disprezzate,
pranzato con peccatori
rifacendoli nuovi.
Guarito corpi infetti e cuori dolenti.
Aveva proclamato libertà e giustizia
per i poveri, e dato amore; e ancora amore,
per tutti.

Appeso ad una croce,
aveva caricato su se
tutti i dolori del mondo
ed era morto in un soffio, reietto dal mondo
e dal Cielo.
Ma poi dal regno dei morti era risorto.

Mi raccontarono questo; ma
A che fine era morto e tornato alla vita
Il bimbo che ero non seppe capire.
Ed ora, che non sono più un bimbo
che conosco quell’uomo e lo seguo,
ora so
quale sasso per primo aveva riempito
Il vaso della sua vita.

Gesù, venendo nel mondo, sapeva quale sasso mettere per primo all’interno del suo vaso; su quel sasso era scritto il tuo nome, come pure il mio.

Come hai risposto, o come risponderai, a lui per ringraziarlo di aver scelto te come prima pietra della sua vita?

Hai posto per prima la pietra che ha nome Gesù nel vaso della tua vita?

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16 settembre 2006

Il matrimonio di due credenti | 16 Settembre 2006 |

Altro bene io non troverò che amare te” Penso che le parole della canzone che avete appena ascoltato illustrino alla perfezione il motivo del perché siamo qui riuniti oggi.

Oggi siamo qui perché abbiamo ricevuto un invito, sotto forma di lettera, da parte di Antonio e Katia; e noi che siamo presenti, abbiamo accettato questo invito ad essere partecipi alla loro gioia.

Anche Antonio e Katia hanno ricevuto, qualche tempo fa, un invito simile; un invito che li chiamava ad essere i protagonisti di quella gioia, quella che li vede oggi qui, la gioia di “diventare un solo corpo” a causa dell’amore.

Amore; non esiste al mondo una parola più usata e abusata; nella nostra lingua italiana sotto di essa vengono accomunati un notevole numero di sentimenti differenti tra loro.

L’amore per i figli, come quello per la patria.
L’amore per la natura, e quello per il danaro.
L’amore per la scienza, come quello per il coniuge.

In altre lingue, come quella greca, esistono invece differenti parole che individuano differenti tipi d amore; in greco c’è una parola per l’amore che procede dagli occhi (EROS), uno per quello che parte dalla nostra mente (PHILEO), e infine l’AMORE, quello con la A maiuscola, quello che coinvolge tutto il nostro essere, occhi, cervello, cuore, (AGAPAO).

Ed è per questo che, prima di iniziare, vorrei capire quale tipo di amore stiamo celebrando qui oggi…. E vorrei farlo con l’aiuto dei bambini.

(Mostra ai bambini tre differenti immagini: una macchina da corsa, un albero, e un cuore. Chiedi ai bambini quale di queste esprime l’amore:



Sapete, bambini, per me invece l’amore è come una mela.

Una mela :

§ è bella da vedere
§ è dolce da mangiare
§ è sana per nutrirsi
§ potete avene quante ne volete (non ci credete? La prossima volta, invece di chiedere un sacchetto di patatine o una merendina, provate a chiedere alla vostra mamma una mela; vedrete che vi dirà “se è una mela, tutte quelle che vuoi, ma patatine e merendine no!”)

Allo stesso modo l’amore:

§ è bello
§ è dolce
§ è sano
§ non siamo mai sazi d’amore.

Vorremmo dare amore alle persone che abbiamo attorno.

Amare ci fa sentire bene; basta ricordare come ci sentiamo quando amiamo i nostri genitori, o il nostro coniuge, o i nostri figli, o i nostri amici, per sapere che amare è bello e piacevole.

L’amore è la corrente elettrica che attraversa il nostro corpo, che ci fa battere il cuore, che ci fa brillare di più gli occhi.

Ci sono studi scientifici nei quali è dimostrato che chi ama intensamente ed è ri-amato allo stesso modo, soffre di minori disturbi cardiaci, vive più al lungo, ed i tessuti dei suoi organi risultano più irrorati e per questo l’invecchiamento è molto più lento.

Colui che ci ha creato ci ha disegnato come una macchina per dare e ricevere amore; esso è il propellente delle nostre vite, senza il quale il nostro motore smette di funzionare, facendoci rimanere fermi in garage, sotto un telo, ad attendere la rottamazione.

Antonio e Katia, invitandoci qui oggi, hanno dimostrato di aver bisogno di amare; si amano reciprocamente, e ci amano, ci vogliono bene, e vogliono condividere con noi la loro gioia.

Ma se Dio ci ha creati per amare, allora questo significa che amare è facile!

Certo che si… o certo che no! Tutto dipende dal tipo di amore a cui stiamo mirando.

E’ molto facile amare un bel tramonto; gli occhi percepiscono la sua bellezza, e ne godono.

Talvolta possiamo trovare facile amare alcune persone; la mente le stima degne di amore, e le rispetta.

Ma amare davvero, amare sino in fondo, con tutto noi stessi, quella è tutt’altra cosa.

In una canzone di Battisti di molti anni fa, il grande Mogol sottolineava questa grande verità:

“amarsi un po’ è come bere, più facile che espirare…

ma poco più sotto faceva dire a Lucio

però volersi bene no, partecipare, è difficile quasi come volare…

A quale amore dunque ci ha chiamati il Signore? Quali sono le caratteristiche che distinguono l’amarsi un po’ dal volersi bene?

Dice l’Apostolo Paolo:

L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. (1Co 13:4-7 INR)

Questo è il tipo di amore che vogliono sperimentare Antonio e Katia.

Non “amarsi un po”, ma “volersi il bene”, volere e cercare il bene dell’altro con gli occhi, con la mente e col cuore; l’amore con la A maiuscola.

In un certo senso, questo tipo di amore è la cosa più “innaturale” che un individuo possa sperimentare; siamo nati per amare, ma abbiamo dimenticato come dobbiamo amare.

Spesso succede che ci vantiamo e ci gonfiamo nel nostro orgoglio, che ci comportiamo in modi non proprio leciti, cercando sovente ciò che fa bene a noi e solo a noi.

Ci arrabbiamo censurando il comportamento reale o fittizio degli altri e pensando che “a pensare male è peccato, ma ci si azzecca quasi sempre” (per citare Giulio Andreotti).

Nati per l’amore, dobbiamo ri-imparare ad amare in questo modo, gioendo della verità, abituandoci a soffrire anche per quell’amore che diamo e che non ci viene restituito, a credere e a sperare negli altri, a sopportare e a supportare coloro che amiamo.

Ma vedete, bambini, se l’amore è come una mela, allora c’è un problema: debbo tagliarla;

1. questo è per la Pazienza
2. questo per la Benevolenza
3. questo è per l’Umiltà
4. questo per la Correttezza
5. questo per l’Altruismo
6. questo per la Beneficenza
7. questo per la Giustizia
8. questo per il Sacrificio
9. questo per la Confidenza
10. questo per la Speranza
11. questo per la Sopportazione

Se proviamo a dividere la dotazione di amore con cui siamo nati tra tutte queste caratteristiche dell’ amore con la A maiuscola, accadrà o che avremo un po’ di Pazienza, ma non abbastanza, un po’ di Benevolenza, ma non abbastanza, ecc..

Oppure se diamo più spazio, una fetta più grande all’Altruismo e alla Speranza, accadrà che non avremo più amore da dare quando ci troveremo a dover sperimentare la Pazienza.

Antonio e Katia questo l’hanno capito; hanno compreso che senza qualcuno, o qualcosa, che li aiuti, la loro vita sarà sempre in debito d’amore in qualche aspetto.

Hanno capito che, per essere leali e per mantenere le promesse di amore che tra poco si scambieranno, hanno bisogno di qualcosa, o qualcuno che provveda loro tutto l’amore di cui avranno bisogno.

Sfortunatamente per loro, né il Signor Sindaco, né io abbiamo una tale capacità.

Ma per fortuna, anzi per GRAZIA, c’è qualcuno che può, e che vuole.

Dice sempre Paolo:

Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia, affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondiate per ogni opera buona.. (2Co 9:8-9 INR)

Ecco perché Antonio e Katia sono qui, oggi, perché hanno capito che Dio è l’unica fonte inesauribile di amore, che aggiungerà mela su mela, finché saranno necessarie.

Anzi, le mele che Dio provvederà loro, saranno sovrabbondanti alle loro necessità.

(tira fuori il cestino di mele)


E se sapranno seguirlo e ascoltare la Sua voce giorno dopo giorno, allora assaporeranno le primizie di quell’abbondanza.

(tira fuori le due mele rosse )

Non debbono andare distante per ricevere quello di cui hanno bisogno; non debbono arrampicarsi all’insù, fino a raggiungere i Cielo, perché Dio, nel suo amore infinito per noi ha deciso lui di scendere giù, facendosi uomo.

La fonte inesauribile di amore a cui potranno attingere, è qui, in mezzo a loro due, li sta tenendo per mano in questo preciso momento, nella persona dell’Emmanuele, del Dio tra noi, di quel Gesù, che è sceso sulla terra per Antonio e per Katia, e per tutti quelli che, come loro, lo hanno accettato come Signore della propria esistenza.

Gesù, il Figlio di Dio , è venuto con un unico scopo:

Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza.
(Gv 10:10b INR)

Sono le sue parole: una vita abbondante, piena di un amore abbondante.

Quale amore stiamo celebrando, allora?

L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
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05 settembre 2006

Il battesimo | 5 Settembre 2006 |

Il battesimo di Antonio


VI è mai capitato di passare un momento della vostra vita dove tutto sembra essere contro di voi, dove le vostre certezze vacillano, dove gli altri non hanno più fiducia in voi, fanno pettegolezzi o peggio vi si schierano contro tramando contro di voi nell’a luce o nell’ombra?

Forse alcuni di noi hanno provato almeno in parte momenti simili a questo.

Cosa abbiamo fatto, cosa facciamo, allora? Dove abbiamo trovato la forza per reagire, a chi o a cosa ci siamo aggrappati quale ancora di salvezza?

Molto tempo fa, sono passati quasi sei secoli, ci fu un uomo che si trovò a dover affrontare un simile momento, a lottare da solo contro principi, stati e governanti, dubitando talvolta perfino di se stesso e della strada che aveva intrapresa.

Quell’uomo si aggrappò alla sola verità che era rimasta in lui, tanto da scriverla col gesso sulle pareti e sul tavolo della stanza dove si era rifugiato. Due semplici parole, scritte in latino, che lo guidarono fuori dai dubbi ad affrontare il mondo, e a vincerlo:“Baptizato sum!” Sono battezzato!

Quell’uomo, che scriveva col gesso sul muro questa semplice frase, questa sola verità rimasta in lui era Martin Lutero.

Sono Battezzato! Se Lutero potesse essere qui oggi ci spiegherebbe di sicuro che in queste due semplici parole è contenuta una verità che rende la vita degna di essere vissuta, anche nei momenti più bui di essa.

SONO BATTEZZATO,

  • Sono DI Cristo; la mia vita, il mio destino, me stesso appartengono a lui!
  • Sono IN Cristo; faccio parte del suo corpo vivente su questo pianeta, la Sua Chiesa
  • Sono PER Cristo; sono suo strumento e sua voce su questa terra.

Chi si battezza in nome di Cristo è come se si mettesse piedi in una folla di migliaia di persone per rendersi riconoscibile tra gli altri, per essere visto dagli altri, e per essere un esempio per gli altri.

Colui che si battezza rende esplicito al mondo in un atto, nei pochi secondi della sua completa immersione, il suo cammino di fede (breve o lungo non importa) che lo ha portato dal semplice sentir parare di Gesù, a conoscerlo, ed infine ad accettarlo come Signore della propria vita terrena come salvatore nella vita che viene.

Il battesimo dei credenti non ha a che fare con la salvezza

(Luca 23:43 Gesù gli disse: "Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso".);

ma è un simbolo, una tappa, e un promemoria per colui che ha già creduto nel Vangelo di Gesù. Leggiamo assieme Matteo28:18-20

E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: "Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente".
(Mat 28:18-20 INR)


  1. E’ un simbolo:

Bapto”, in greco, significa semplicemente “immergere completamente qualcosa in un liquido”; in inglese la parola è rimasta praticamete la stessa “Bath”, in italiano è diventata “bagno”. Quando ci facciamo il bagno nel lago ci immergiamo completamente in esso.

Ma “baptizo” in greco significa molto di più di “bagno”; significa “immergere qualcosa in un liquido per cambiare la sua natura o il so aspetto”. I


  • Simbolo della morte e risurrezione
  • Simbolo di inclusione nella chiesa Universale di Cristo
  • Simbolo di purificazione

Nonostante tutto questo, la salvezza di colui che crede in Gesù non è minimamente in discussione anche senza il battesimo.

Ora, SE è un simbolo, SE non salva (lo stesso Gesù, in Marco 16:6 dice:

“chi ha creduto ed è stato battezzato, sarà salvato; ma chi non ha creduto, sarà condannato.”

SE la cosa fondamentale è CREDERE e non essere battezzati, allora perché chi crede in Gesù continua a farlo?

Tra le tante che potrei elencare, oggi voglio soffermarmi su TRE ragioni principali che rispondono a questi due perché:

  1. La prima la troviamo in Matteo 3:13-15 (pag. 953 NR, 1032 ND)

“Allora Gesù venne dalla Galilea al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato. Ma Giovanni gli si opponeva fortemente dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?". E Gesù, rispondendo, gli disse: "Lascia fare per ora, perché così ci conviene adempiere ogni giustizia". Allora egli lo lasciò fare.”
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La prima ragione è che DIO ritiene GIUSTO che chi crede venga battezzato pubblicamente.

La parola greca che è stata tradotta con “giustizia” sta a significare “conformarsi alle richieste di una autorità superiore”

In una traduzione differente da quella che usiamo la frase di Gesù suona così:

“Devi battezzarmi adesso, perché dobbiamo fare tutto ciò che è giusto”

La prima ragione dunque del perché chi crede si battezza è

L’OBBEDIENZA A DIO

  1. La seconda ragione la troviamo in Atti 6:36-38 (pag. 1088 NR, 1210 ND)

“E, mentre proseguivano il loro cammino, giunsero ad un luogo con dell’acqua. E l’eunuco disse: "Ecco dell’acqua, cosa mi impedisce di essere battezzato?". E Filippo disse: "Se tu credi con tutto il cuore, lo puoi". Ed egli rispose, dicendo: "Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio". Allora comandò al carro di fermarsi; ed ambedue, Filippo e l’eunuco, discesero nell’acqua, ed egli lo battezzò.”

Questo eunuco era un uomo alla ricerca di Dio, e stava proprio leggendo le profezie di Isaia su Gesù quando Filippo giunge a spiegargli che era in Gesù che quelle profezie avevano trovato realizzazione.

L’eunuco ha finalmente trovato il motivo della sua vita, ed ha urgenza di dimostrarlo: , cosa mi impedisce di essere battezzato?

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La seconda ragione è la gioia che c’è in ciascun credente nell’avere finalmente trovato le braccia del Padre tramite Gesù.

Dice l’apostolo Pietro, rivolgendosi a coloro che hanno creduto in Cristo:

A motivo di questo voi gioite … nella rivelazione di Gesù Cristo, che, pur non avendolo visto, voi amate e, credendo in lui anche se ora non lo vedete, voi esultate di una gioia ineffabile e gloriosa, (1Pt. 1:6-8 ND)

La seconda ragione dunque del perché chi crede si battezza è:

LA GIOIA DI SEGUIRE GESU’

  1. La terza ragione la troviamo sempre in Atti 9:3-6°, 17-18 (pag. 1088 NR, 1211 ND)

“Or avvenne che, mentre era in cammino e si avvicinava a Damasco, all’improvviso una luce dal cielo gli folgorò d’intorno. E, caduto a terra, udì una voce che gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Ed egli disse: "Chi sei, Signore?". E il Signore disse. "Io sono Gesù, che tu perseguiti; ti è duro recalcitrare contro i pungoli". Allora egli, tutto tremante e spaventato, disse: "Signore, che vuoi ch’io faccia?".

“Anania dunque andò ed entrò in quella casa; e, imponendogli le mani, disse: "Fratello Saulo, il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato perché tu ricuperi la vista e sii ripieno di Spirito Santo". In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle scaglie, e riacquistò la vista; poi si alzò e fu battezzato.”

Penso Paolo sia uno dei pochi, se non altro perché è anche uno dei pochi ad aver parlato direttamente con Gesù, che abbia compreso, in un solo istante, di aver vissuto una vita inutile, anzi, una vita di ribellione contro il Signore, tanto è vero che Gesù gli
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diceti è duro recalcitrare contro i pungoli”.

Avendo compreso questo, chiede a GesùSignore, che vuoi ch’io faccia?". Paolo mette a disposizione la sua intera vita in un secondo per quel Gesù che vino a pochi istanti prima aveva perseguitato. Egli non solo crede, ma offre anche la sua incondizionata disponibilità a servire Gesù.

La prima cosa che fa, dopo aver riacquistato la vista, è quella di essere battezzato; e da lì in avanti inizia la sua storia senza eguali di servizio a Gesù.

La terza ragione dunque del perché chi crede si battezza è:

LA DISPONIBILITA’ A SERVIRE GESU’


Il battesimo di Adriana oggi sta a simboleggiare proprio queste tre cose:

  1. la sua obbedienza a Dio
  2. la sua gioia nel seguire Gesù
  3. la sua disponibilità a servire Gesù.

Cara Adriana, noi tutti ti consideriamo ormai da tempo una parte integrante e fondamentale della “nostra” piccolissima chiesa nascente, e ciò che hai compiuto non cambia nulla del tuo “status” rispetto a noi, come non lo cambia agli occhi di Dio; per noi eri e sei nostra sorella, per Dio eri e sei sua figlia.

Ma non di meno c’è una gioia immensa nel vedere, da parte nostra
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la tua obbedienza, la tua gioia e la tua disponibilità per Cristo Gesù.

E se la nostra gioia è immensa, puoi solo immaginare quella di Dio, tuo Padre, nel vedere che sei obbediente a lui, che hai gioia in suo Figlio, e che sei pronta a seguirlo, qualsiasi cosa accada, da ora in avanti.

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06 agosto 2006

Il libro di Neemia | 6 Agosto 2006 |

Neemia
Durante una partita di football americano, le due squadre stavano pareggiando a pochi secondi dalla fine; l’allenatore di una delle due squadre decise allora di mandare in campo uno dei suoi migliori giocatori che, di lì a poco, segnò il goal della vittoria.

A partita finita, l’allenatore si avvicinò al giocatore, chiedendogli come mai non avesse guardato verso la porta dopo aver calciato.

E’ vero – rispose il giocatore – stavo guardando l’arbitro per capire dai suoi gesti se avevo fatto gol; avevo dimenticato di mettere le lenti a contatto e non riuscivo a vedere neppure la porta figuriamoci vedere la palla entrare.”
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Nel campionato che vede impegnati uomini e donne nella costruzione della chiesa di Dio su questa terra, ci sono molte persone con una vista acuta, altri conon una vista normale, altri (purtroppo) ciechi. Ma, alla fine della partita la differenza la fanno uomini e donne che, pur sapendo di essere miopi, di non vedere a un palmo dal proprio naso, scendono comunque in campo, obbedendo al loro allenatore (Dio), calciano la palla fiduciosi che il loro onnipotente allenatore saprà guidare le traiettorie della palla sino alla porta;

PER FEDE giocano, PER FEDE obbediscono, PER FEDE calciano.

Il libro di Neemia narra la storia stupenda di uno di questi uomini; un uomo che , pur sapendosi limitato, riceve, con gli occhi della fede, una grande visione: ricostruire una città distrutta ed un popolo disperso.
Quella città è Gerusalemme, e quel popolo è il popolo di Dio.

E’ un libro che ci conduce alle soglie del Cristianesimo in quanto ci mostra il popolo di Dio 400 anni prima della nascita di Gesù; dopo questo libro (e dopo quello del profeta Malachia, vissuto ai tempi narrati in Neemia), la Bibbia sarebbe rimasta silenzioso per 400 anni.

Per 400 anni Dio pare disinteressarsi del suo popolo: torneremo alla fine su questo argomento.

Vediamo di inquadrare il momento storico in cui Neemia scrive.

Siamo intorno al 446 A.C, sono passati 140 anni da che gli Assiri avevano deportato in Babilonia quello che rimaneva del regno di Giuda; gran parte del popolo di Dio era in esilio, lontano dalla terra che il Signore aveva stabilito per lui.

Una piccola parte era già tornata in Palestina a più riprese grazie a Ciro e ad altri re.

Pur essendo stato ricostruito il Tempio, la città era un mucchio di macerie in cui quasi nessuno poteva o voleva vivere; e in verità nessuno aveva neppure provato di farlo in quanto i popoli intorno, da sempre nemici, lo avevano praticamente impedito.

Neemia era uno di quelli rimasti a Babilonia; il popolo ebreo, dopo gli anni della schiavitù e della sopraffazione, aveva raggiunto una posizione più che rispettabile; un’ebrea (Ester) era addirittura divenuta sposa del re Assiro Assuero solo 24 anni prima degli eventi che vedremo in questo libro.
I giudei godevano di posizioni di tutto rispetto all’interno dell’apparato statale Babilinese; e, difatti, Neemia posseva di una posizione di grande onore, come leggiamo nell’ultimo versetto del primo capitolo (pag. 487)


A quel tempo io ero coppiere del re.
(Neemia 1:11 NRV)

Essere “coppiere” non significava esclusivamente versare il vino o le bevande al Re, ma significava prepararle e, visto che a quel tempo i re correvano spesso il rischio di essere avvelenati, assaggiarle prima che il Re le bevesse; era una posizione di grande onore e al contempo di grandissima responsabilità.

Re Artaserse doveva fidarsi ciecamente di Neemia; e questo faceva di lui probabilmente una delle persone più amate e rispettate dal Re.

Qualsiasi altro sarebbe stato soddisfattissimo di tutto questo, ed avrebbe lottato per mantenere quella posizione nel regno di Babilonia.

Non Neemia; egli era sì un servitore leale del suo Re, ma era ancor di più un servo fedele di Dio, una persona che aveva a cuore il suo popolo e che avrebbe messo sempre e comunque al primo posto il lavoro per il Signore a quello del Re Artaserse ; leggiamo al cap. 1, versetti 2-4:

Anani, un mio fratello, e alcuni altri uomini arrivarono da Giuda. Io li interrogai riguardo ai Giudei scampati, superstiti della deportazione, e riguardo a Gerusalemme.
E quelli mi risposero: «I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in gran miseria e nell'umiliazione; le mura di Gerusalemme restano in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco».
Quando udii queste parole, mi misi seduto, piansi, e per molti giorni fui in grande tristezza. Digiunai e pregai davanti al Dio del cielo.
(Neemia 1:2-4 NRV)

E’ un uomo disperato quello che abbiamo di fronte; ma, sorprendentemente, invece di cadere in depressione come molti di noi (io per primo) avrebbero fatto, quali sono le sue reazioni?

La prima, è quella dell’uomo Neemia; il pianto e la tristezza. Ma poi, subentra quella dell’uomo di Dio: “digiunai e pregai”. Neemia reagisce alla depressione causata da quelle notizie … con la preghiera; e quella preghiera fa scattare in lui una molla che lo spinge ad agire.

Qual è dunque la molla che scatta in Neemia capace di renderlo disposto a cambiare una vita di agi e di lusso in una vita di pericoli e di immani sforzi?

Versetti 8-9

Ricordati della parola che ordinasti al tuo servo Mosè di pronunziare: "Se sarete infedeli, io vi disperderò fra i popoli;
ma se tornerete a me e osserverete i miei comandamenti e li metterete in pratica, anche se sarete dispersi negli estremi confini del mondo, io di là vi raccoglierò e vi ricondurrò al luogo che ho scelto per farne la dimora del mio nome".
(Neemia 1:8-9 NRV)

Esdra, che era il sommo sacerdote ebreo, e era già tornato a Gerusalemme da tredici anni; era un insegnante e in quel periodo aveva fatto riscoprire alla sua gente quello che durante l’esilio era andato perduto; la parola di Dio.


Ma Dio aveva ora nei suoi piani di suscitare qualcuno che di fronte alla distruzione di Gerusalemme si disperasse, piangesse, e si indignasse a tal punto da agire: quel qualcuno era quel Neemia che, ricordando le parole scritte in Levitico, sapeva che Dio sarebbe stato dalla sua parte.

Vi sarebbe stato un unico modo per poter ricostruire Gerusalemme: chiedere al Re Artaserse non solo di lasciarlo andare, ma anche di lasciare andare altri giudei, di concedere i passaporti per tutti e regalare tutto il legno necessario per la ricostruzione.

Immaginatevi lo stato d’animo di Neemia sapendo di dover chiedere al Re di privarsi della persona su cui egli affidava la propria sicurezza e la propria vita.

Se riusciamo ancora a ricordarci, pensiamo a quando, da giovani, dovevamo chiedere ai nostri genitori di uscire con gli amici la sera tardi e, col cuore in gola, tornavamo a casa valutando mentalmente le probabilità che avevamo di ottenere un si, pensando a tutte le cose che avremmo potuto fare prima per ingraziarci nostro padre o nostra madre.

Bene, e quello era solo per uscire una sera con gli amici; Neemia doveva chiedere di andare a ricostruire una città e una nazione!

Ma non ci sarà neppure bisogno che sia egli a proporre il discorso; lo stesso Artaserse entrerà in argomento: leggiamo al cap. 2, dal versetto 2:

Il re mi disse: «Perché hai l'aspetto triste? Eppure non sei malato; non può essere altro che per una preoccupazione». Allora fui colto da grande paura,
e dissi al re: «Viva il re per sempre! Come potrei non essere triste quando la città dove sono le tombe dei miei padri è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco?»
E il re mi disse: «Che cosa domandi?» Allora io pregai il Dio del cielo;
Vorrei fermarmi un attimo qui; ancora una volta Neemia risponde ad una situazione difficile con la preghiera che porta ad un’azione: egli ha paura, ma non una paura qualsiasi, una vera e propria fifa boia che Artaserse dica “NO!”. Proseguiamo:

poi risposi al re: «Se ti sembra giusto e il tuo servo ha incontrato il tuo favore, mandami in Giudea, nella città dove sono le tombe dei miei padri, perché io la ricostruisca».
Il re, che aveva la regina seduta al suo fianco, mi disse: «Quanto durerà il tuo viaggio? Quando ritornerai?» La cosa piacque al re, che mi lasciò andare, e gli indicai una data.
Poi dissi al re: «Se il re è disposto, mi si diano delle lettere per i governatori d'oltre il fiume affinché mi lascino passare ed entrare in Giuda,
e una lettera per Asaf, guardiano del parco del re, affinché mi dia del legname per costruire le porte della fortezza annessa al tempio del SIGNORE, per le mura della città, e per la casa che abiterò». Il re mi diede le lettere, perché la benefica mano del mio Dio era su di me.
Mi recai presso i governatori d'oltre il fiume, e diedi loro le lettere del re. Il re mi aveva dato una scorta di ufficiali e di cavalieri.
(Neemia 2:2-9 NRV)

Incredibile! Artaserese ha detto “SI!” …a tutto! E, addirittura, concede anche una scorta reale! Gli spiace che Neemia se ne vada, lo capiamo dal modo come gli chiede “Quanto durerà il tuo viaggio? Quando tornerai?” (tra parentesi, Neemia sarebbe tornato dopo 12 anni), ma concede TUTTO QUELLO CHE NEEMIA GLI CHIEDE!

Dio usa persone come Neemia, persone che forse non sono grandi insegnanti, la cui eloquenza non è un gran che, che sanno di essere miopi di fronte ai piani di Dio, ma la cui fede in ciò che Egli ha promesso è totale.

Neemia dunque si reca a Gerusalemme e vede coi suoi occhi lo stato di degrado della città e, radunati sacerdoti, magistrati, finanzieri e imprenditori edili, li convince a iniziare la ricostruzione.

Ma, come in ogni soap opera o telenovela che si rispetti, l’eroe deve avere dei nemici.

Nemici che siano i più antipatici possibili, subdoli e bugiardi come solo JR sapeva essere.

Anche Neemia non scampa a questa regola: al capitolo 2 leggiamo che…

Quando Samballat, il Coronita, e Tobia, il servo ammonita, furono informati del mio arrivo, furono molto contrariati dalla venuta di un uomo che cercava il bene dei figli di Israele.
(Neemia 2:10 NRV)
e più avanti:

Ma quando Samballat, il Coronita, e Tobia, il servo ammonita, e Ghesem, l'Arabo, lo seppero, si fecero beffe di noi, e ci disprezzarono dicendo: «Che cosa state facendo? Volete forse ribellarvi al re?»
(Neemia 2:19 NRV)

Le popolazioni che avevano occupato la Palestina quando Israele e Giuda erano stati deportati cominciavano a guardare con un occhio tra il preoccupato e il beffardo i giudei che tornavano a riprendere possesso della loro terra.

Ma Neemia riesce comunque a risvegliare l’orgoglio del suo popolo, e nel capitolo 3 c’è il racconto della frenetica ricostruzione delle mura e delle fortificazioni da parte di tutta la popolazione, nessuno escluso; ognuno ripara una parte davanti alla propria abitazione.

E così, quasi tre chilometri di mura senza contare tutte le torri le fortificazioni vengono ricostruite in brevissimo per un’altezza di un paio di metri: e Neemia loderà il suo popolo dicendo: e il popolo aveva preso a cuore il lavoro.”.

E i nemici? Cosa facevano loro vedendo tutto questo? Neemia racconta:

Quando Samballat udì che noi costruivamo le mura, si adirò, s'indignò moltissimo, si fece beffe dei Giudei...
Tobia l'Ammonita, che gli stava accanto, disse: «Costruiscano pure! Se una volpe ci salta sopra, farà crollare il loro muro di pietra!»
(Neemia 3:-33,35 NRV)

Ma poi, vedendo le mura completate per metà altezza, la loro derisione si trasforma in ira pronta a colpire: leggiamo al cap. 4, versetti 1-3


Ma quando Samballat, Tobia, gli Arabi, gli Ammoniti e gli Asdodei udirono che la riparazione delle mura di Gerusalemme progrediva, e che le brecce cominciavano a chiudersi, si indignarono moltissimo,e tutti quanti assieme si accordarono di venire ad attaccare Gerusalemme e a crearvi del disordine.
Allora noi pregammo il nostro Dio e mettemmo delle sentinelle di giorno e di notte per difenderci dai loro attacchi.
(Neemia 4:1-3 NRV)

Ancora una volta, la risposta di Neemia di fronte ad una situazione difficile è la preghiera che porta ad un’azione; ogni volta, prima egli prega e solo dopo agisce; e Neemia non si prende mai il merito di questa o quella mossa fatta bene, ma ne dà gloria a Dio; infatti se guardate il versetto 9 egli dice:

Quando i nostri nemici si accorsero che eravamo al corrente dei loro piani, DIO rese vano il loro progetto...

Nei capitolo a seguire Samballat e Tobia tentano in tutti i modi di mettere il bastone tra le ruote a Neemia, assoldando fasi profeti, spedendogli lettere minatorie e altre amenità del genere; ma egli rimane saldo ed esclama: “Ma ora, Dio, fortificami!”.

Ma, a questo punto, egli deve confrontare non solo gli attacchi dei nemici, ma anche una situazione interna dove alcuni cominciavano a protestare perché c’erano così tante macerie che era difficile lavorare, altri che, sfruttando il fatto che gli uomini erano impegnati nella ricostruzione e perciò non guadagnavano alcun salario, prestavano i soldi a strozzo e rendevano schiavi i debitori vendendoli (pensate un po’) agli Ammoniti, ai Coroniti.

Neemia dovette impegnare tutta la sua abilità politica per convincerli a rimettere i debiti e per placare gli animi…. Povero Neemia, che fatica!

Fermiamoci un attimo a riflettere sulla personalità di Neemia.

Sei tu come lui? Sai di essere miope, ma grazie agli occhi della fede in Dio hai visioni grandi per la sua opera nel tuo paese e nel mondo?

E’ bene che tu sappia che difficilmente troverai persone pronte ad applaudirti; piuttosto, sii preparato ad ogni pericolo, sia che provenga da coloro che si oppongono a Dio sia da coloro che, come te, credono in Lui.

Prendi esempio da Neemia, fa che la preghiera preceda OGNI tua azione, ma non fare che la paura congeli quello che Dio ti ha comandato di fare.

Torniamo alla nostra storia. Le mura dunque furono completate, messe le porte e i chiavistelli per chiuderle; e la gente aveva lavorato così tanto per terminarle che in pratica esse racchiudevano una città fantasma, con neppure una casa e pochissime persone che vivevano lì.

Allora Neemia, anzi, come dice lui, Dio gli mise in cuore di richiamare tutti i giudei a Gerusalemme per un censimento che avrebbe alla fine contato quasi 50.000 persone. Il censimento aveva un doppio scopo; quello di riportare assieme tutto il popolo e quello di ritornare a educarli alla parola di Dio: leggiamo al cap. 8: i versetti 1-4

Tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, e disse a Esdra, lo scriba, che portasse il libro della legge di Mosè che il SIGNORE aveva data a Israele.

Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea, composta di uomini, di donne e di tutti quelli che erano in grado di capire.
Egli lesse il libro sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, dalla mattina presto fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne, e di quelli che erano in grado di capire; e tutto il popolo tendeva l'orecchio, per sentire il libro della legge.
Esdra, lo scriba, stava sopra un palco di legno, che era stato fatto apposta; accanto a lui stavano, a destra, Mattitia, Sema, Anania, Uria, Chilchia e Maaseia; a sinistra, Pedaia, Misael, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e Mesullam.
(Neemia 8:1-4 NRV)

Esdra lo scriba stava sopra il palco, e poi Mattitia, Sema, Anania, Uria… e Neemia? Che fine ha fatto l’eroe della storia? Perché colui che è stato l’artefice della rinascita di una città come di un popolo non siede sul palco d’onore, anzi, non siede al centro, sullo scanno più alto?

No, signori, Neemia non siede nel palco d’onore; Neemia è probabilmente là, in mezzo al suo popolo, in piedi, che ascolta la lettura della legge. In un altro brano al capitolo 12 lo vedrete organizzare una mega celebrazione per inaugurare le mura, con due cortei che si incamminano sopra di esse uno in senso orario uno in senso antiorario; alla testa di uno c’è Esdra lo Scriba… mentre lui lo troviamo che segue il secondo corteo “con l’altra metà del popolo” sono le sue testuali parole.


Ed è giusto che sia così; il suo dono non era quello di predicare o di insegnare. Il suo era un dono di azione, una capacità che nessun altro aveva di vedere le cose in grande, di convincere le persone, di organizzarle in squadre di lavoro, e in turni di guardia.

Non avrebbe avuto senso per lui stare là sul palco o alla testa di uno dei cortei, e forse si sarebbe sentito pure a disagio.

Ma, senza di lui, NULLA avrebbe potuto accadere. Dio usa uomini come Neemia, e sono fondamentali quanto un buon predicatore o un buon insegnante.

Hai un dono di questo genere? Sai amministrare le cose del Signore ed organizzare e incanalare le persone e gli eventi verso il bene per la Chiesa e la gloria per Dio? Oppure hai un altro dono, che so io, sai assistere gli ammalati, o sai incoraggiare chi ha perso fiducia o speranza? Non credere MAI che il mio dono, o quello di Michele, o di quant’ altri si alternano davanti a questo leggio sia più importante del tuo; senza coloro che hanno sistemato le sedie, che hanno pulito la sala, che hanno assistito un malato o che hanno portato incoraggiamento a qualcuno il nostro dono non basterebbe e talvolta sarebbe assai difficile o inefficace.

Avevamo lasciato Neemia e il popolo ad ascoltare la lettura della Legge; questa lettura porterà ad un reale pentimento che sfocerà in un grande risveglio. I Giudei torneranno a celebrare il sabato, come pure le feste comandate da Dio.
Se mi permettete un piccolo inciso; la lettura, la comprensione e l’applicazione della parola di Dio alle nostre vite porta SEMPRE a dei grandi risultati; quando il re Giosia in II Re ritrovò il libro della Legge e lo applicò alla vita del suo regno vi fu un risveglio nel popolo che tornò a Dio; quando ;Martin Lutero lesse la Bibbia e la applicò alla chiesa iniziò una riforma di cui noi siamo oggi eredi; il nostro mondo moderno ha bisogno di leggere ed applicare la parola di Dio alla propria vita.

Per Giuda il riconoscere gli errori del passato porterà a confessarli e a voler sottoscrivere nuovamente il patto con Dio.
Nel capitolo 10 troviamo questo patto; Neemia, i sacerdoti e i capi del popolo lo hanno scritto ed vi è stato posto il sigillo per renderlo ufficiale ed impegnativo per tutti; se qualcuno avesse disobbedito sarebbe stato punito.

Questi sono i dieci punti che lo compongono:

  1. Osserveremo i Comandamenti di Dio
  2. Non sposeremo le figlie e i figli degli altri popoli.
  3. Non compereremo nulla nei giorni di festa
  4. Lasceremo riposare la terra ogni 7 anni
  5. Ogni sette anni rimetteremo ogni debito
  6. Daremo danaro per la casa del nostro Dio
  7. Porteremo a turno la legna per gli olocausti
  8. Offriremo le primizie della terra e i primogeniti ai sacerdoti
  9. Porteremo le primizie e i primogeniti nei magazzini del tempio e daremo la decima ai sacerdoti.
  10. Avremo sempre sacerdoti e cantori per la gloria di Dio.

Il popolo di Dio aveva capito che tutto ciò che aveva sofferto in 1600 anni di storia era dovuto alla disobbedienza ai Suoi comandamenti; dopo tanto disobbedire aveva detto “basta” al peccato, suggellando un nuovo, eterno patto con il Padre…

Vi piacerebbe che fosse così? Ma non se ne parla neanche! Leggiamo assieme il cap. 13:

(Neemia 13:1-8 NRV)

In quel tempo si lesse in presenza del popolo il libro di Mosè, e vi si trovò scritto che l'Ammonita e il Moabita non debbono mai entrare nell'assemblea di Dio, perché non erano venuti incontro ai figli d'Israele con pane e acqua, e perché avevano comprato a loro danno Balaam, perché li maledicesse; ma il nostro Dio convertì la maledizione in benedizione. Quando il popolo udì la legge, separò da Israele tutti gli stranieri. Prima di questo, il sacerdote Eliasib, responsabile delle camere del tempio del nostro Dio e parente di Tobia (l’ammonita), aveva messo a disposizione di quest'ultimo una camera grande là dove, prima di allora si riponevano le offerte, l'incenso, gli utensili, la decima del grano, del vino e dell'olio, tutto ciò che spettava per legge ai Leviti, ai cantori, ai portinai, e la parte che se ne prelevava per i sacerdoti. Ma quando si faceva tutto questo, io non ero a Gerusalemme; perché l'anno trentaduesimo di Artaserse, re di Babilonia, ero tornato presso il re; e dopo qualche tempo, avendo ottenuto un congedo dal re, tornai a Gerusalemme, e mi accorsi del male che Eliasib aveva fatto per amore di Tobia, mettendo a sua disposizione una camera nei cortili della casa di Dio. La cosa mi dispiacque molto, e feci gettare fuori dalla camera tutte le masserizie appartenenti a Tobia.
(Neemia 13:10 NRV)

Seppi pure che le porzioni dovute ai Leviti non erano state date, e che i Leviti e i cantori, incaricati del servizio, se ne erano fuggiti, ciascuno alla sua terra.

(Neemia 13:15-16 NRV)

In quei giorni osservai in Giuda alcune persone intente a pigiare l'uva in giorno di sabato, altre a portare, caricandolo sugli asini, grano e anche vino, uva, fichi, e ogni sorta di cose, che facevano giungere a Gerusalemme in giorno di sabato. Io li rimproverai a motivo del giorno in cui vendevano le loro derrate.
C'erano anche persone di Tiro, stabilite a Gerusalemme, che portavano del pesce e ogni sorta di cose, e le vendevano ai figli di Giuda in giorno di sabato, e a Gerusalemme.

(Neemia 13:23 NRV)

In quei giorni vidi pure dei Giudei che avevano sposato donne di Asdod, di Ammon e di Moab.

(Neemia 13:25 NRV)

Li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli, e li feci giurare nel nome di Dio che non avrebbero dato le loro figlie ai figli di costoro, e non avrebbero preso le figlie di quelli per i loro figli né per sé stessi.


(Neemia 13:28 NRV)

Uno dei figli di Ioiada, figlio di Eliasib, il sommo sacerdote, era genero di Samballat, il Coronita; e io lo cacciai via da me.


Neemia era ritornato dal Re Atraserse, come aveva promesso, ed in sua assenza il popolo aveva, a poco a poco, rinnegato quel patto che aveva voluto sottoscrivere con Dio; nulla di esso era stato risparmiato.

Le sale del Tempio venivano sub-affittate ai nemici di Dio, le decime, le primizie e i primogeniti non venivano più consegnati regolarmente e così sacerdoti e cantori, per poter sopravvivere, erano ritornati alle proprie terre.

Di sabato si lavorava e si faceva commercio, uno dei sacerdoti del Tempio era parente di Tobia l’Ammonita e persino il figlio del sommo sacerdote aveva sposato la figlia di quel Samballat che voleva distruggere Neemia e chi ricostruiva le mura.

Bella dimostrazione di fedeltà al patto! Leggete Malachia, per vedere quella che è l’opinione di Dio circa questa situazione.

Permettetemi di fermarmi un’ultima volta per mostravi come ci riguardi da vicino questo passo; esso ci mostra cosa succede quando, pian piano, cominciamo a scendere a compromessi con la nostra fede.

Si, si, lo so che non dovrei fare quella determinata cosa, che dovrei buttare fuori di me quel determinato peccato… ma ci sono tanto affezionato… e poi, è solo un piccolo peccatuccio… io sono di Dio!”

Stiamo sub-affittando una o più camere che appartengono al Tempio di Dio, la nostra persona, a qualche Tobia?
Non aspettiamo che arrivi Neemia a buttarlo in strada con tutte le sue cose schifose! Facciamolo noi!

“Si, si, lo so che non ho offerto nulla questo mese, ma ho avuto un mare di spese e di imprevisti… e poi, in fondo, è solo per questa volta… i servitori della mia chiesa sopravviveranno lo stesso!”

Cantori e Sacerdoti dedicavano la loro vita a Dio ed erano indispensabili perché la sopravvivenza del Tempio; lo sono ancora.

Cantori e sacerdoti vivono sul mio e sul tuo senso di responsabilità: non facciamo che tornino alle loro terre per poter sopravvivere.

“Si, si, lo so che sono molte domeniche che non vado in chiesa… ma debbo terminare quella determinata cosa e non ho altro tempo che questo!”

Attenzione a non far diventare la domenica un part-time tra i propri hobby e Dio. Neemia fece chiudere le porte il venerdì notte per evitare al suo popolo di lavorare nel giorno del Signore; ci serve questo per rispettarlo?

E’ cosi facile scivolare lontano dal patto quando ci allontaniamo da Dio e dalla sua parola; ci riesce naturale, e non dobbiamo neppure sforzarci perché questo accada.

Siamo quasi alla conclusione, e vorrei ribadire tre sue caratteristiche di cui possiamo fare tesoro:

  1. Dal Neemia che prega nella disperazione o nella paura, che prega prima di agire e che dà il merito a Dio dei suoi successi possiamo imparare ad affidare ogni nostro peso, ogni nostra preoccupazione, ogni nostra difficoltà al Signore; fare in modo che le nostre preghiere precedano le nostre azioni; e dare il merito dei nostri successi non alla nostra capacità, ma a chi li ha realmente governati: Dio.
  2. Dal Neemia che resta fermo nella sua visione di ricostruire Gerusalemme nonostante i nemici ed i problemi interni possiamo imparare a non aspettarci applausi o consensi unanimi quando le nostre visioni superano quelle degli altri, e quando si è certi che provengano da Dio essere pronti a difenderle dal mondo e dagli altri con umiltà e perseveranza.
  3. Dal Neemia che cede la scena al momento opportuno ad Esdra, che si confonde nella folla possiamo imparare che, se possiedi un dono (e lo possiedi di certo) che non sia un dono di “prima visibilità”, come l’insegnamento, o l’evangelizzazione ad esempio, non devi pensare che esso valga poco o valga meno. Se pensi che i doni più visibili siano quelli più importanti, pensa che senza Neemia l’amministratore Gerusalemme sarebbe stata ancora un cumulo di macerie dove Esdra lo Scriba non avrebbe potuto insegnare a nessuno.

Tuttavia, la mia ammirazione verso Neemia non può nascondere il fatto che anche egli esca sconfitto dalla battaglia più grande; quella contro la nostra indole disobbediente nei confronti dei precetti di Dio. La storia di tutto l’Antico testamento non è che un continuo fare patti con il Padre ed un continuo disobbedirvi.

Si comincia con Adamo; ed è il primo a disobbedire, rompendo quello che non era un patto, ma una libera concessione del Creatore.

Che sia Dio ad offrire il patto o che sia l’uomo a volerlo sottoscrivere poco cambia; per citarne alcuni, il Signore farà un patto con Noè dopo il Diluvio; poi sarà la volta di Abramo; e poi di Mosè; e poi di Davide; e infine di Neemia.

Dalla creazione del mondo, Dio ha tentato innumerevoli volte di scrivere un patto con l’uomo; un patto che durasse. Ma il problema più grande era quello dato da una delle due parti che firmavano; mentre Dio avrebbe SEMPRE mantenuto quello che aveva promesso, l’uomo avrebbe SEMPRE tradito le promesse e i giuramenti solennemente fatti.

Non c’era alcuna via di scampo; l’uomo sarebbe stato dunque per sempre separato dal Padre a motivo della sua testarda e cocciuta voglia di disobbedire. Per quattrocento anni Dio sarebbe rimasto silenzioso, dopo quell’ultimo fallimento.

Mai nessun uomo avrebbe potuto firmare un patto con Dio e rimanervi fedele.

Mai nessun uomo. Mai nessun uomo.

Tranne uno.

Ed è proprio durante i giorni di Neemia che il profeta Malachia ci parla di quell’unico uomo che avrebbe firmato un patto eterno per noi. Pag,. 946

(Malachia 3:1 NRV)

«Ecco, io vi mando il mio messaggero, che spianerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l'Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene», dice il SIGNORE degli eserciti.

L’Angelo del patto, colui che avrebbe firmato quell’accordo una volta e per sempre, sarebbe stato Dio stesso, sotto forma di uomo, incarnato in Gesù. Dio stesso avrebbe provveduto un patto perfetto firmato col sangue del suo unico Figlio.

Ecco egli viene

(Isaia 7:14 NRV)

Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà ‘Dio con Noi’.

Il patto che salva me e te, ha la firma indelebile della Croce dove Gesù ha lavato ogni nostro peccato.

Amen.

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